Chi ha inventato la pasta?

Oggi è la giornata mondiale della pasta, quindi quale giorno migliore per scoprirne qualche curiosità in più? Da sempre simbolo massimo della cucina italiana, condita in ogni modo possibile e immaginabile e copiata in tutto il mondo.. ma chi l’ha inventata?

Luogo di nascita: Palermo e dintorni

Per trovare qualcosa di più simile alla nostra pasta occorre volare fine al 1154, quando il geografo arabo Edrisi descriveva “un cibo di farina in forma di fili”, chiamato “triyah” (dall’arabo “itrija”), che si confezionava a Trabia (Palermo) e si esportava in botti in tutta la penisola. In Sicilia, ancora oggi, si parla di “vermiceddi di tria” (vermicelli) o “tria bastarda”. Così come in Puglia, altra regione le cui coste furono dominate per un breve periodo dagli Arabi, di “massa e tria”, “tria e ciceri” (particolare variante di pasta e ceci, tipica del Salento) e “tridde” o “triddi” (sorta di maltagliati preparati in brodo, a Bari). Fatto sta che, secondo Edrisi, nel XII secolo a Palermo e dintorni “si fabbrica tanta pasta che se ne esporta in tutte le parti, in Calabria e in altri Paesi musulmani e cristiani; e se ne spediscono moltissimi carichi di navi”. Secondo gli storici Alberto Capatti e Massimo Montanari, nel loro La cucina italiana. Storia di una cultura, però, “nei ricettari arabi la pasta compare già nel IX secolo, e a tale tradizione è verosimilmente collegata la presenza in Sicilia – nella Sicilia occidentale di cultura araba – di manifatture per la sua produzione”. Insomma, ormai è chiaro: la pasta secca – adatta per essere conservata a lungo ed essere trasportata verso mete lontane – nacque nell’assolata e ventilata Sicilia occidentale, durante la dominazione araba. Arabi che, forse già prima della conquista dell’isola, potrebbero già aver conosciuto la pasta secca, soprattutto quella corta, utile per garantirsi scorte alimentari durante i movimenti nel deserto.

Rivoluzione tecnologica all’ombra del Vesuvio

La produzione della pasta, nel frattempo, iniziò a risalire lo stivale, spostandosi in tutta l’Italia meridionale e in Liguria, laddove il clima secco e ventilato ne favoriva l’essiccazione all’aria aperta: Gragnano, Torre Annunziata, ma anche la Puglia. Il resto d’Italia, invece, per ragioni climatiche rimase legato alla produzione della pasta all’uovo, non essiccata e probabilmente nata dalla contaminazione con la “lagana” romana. Ma la pasta, benché diffusa, non era ancora una pietanza di massa. Lo diventerà solo nel ‘600, quando una spaventosa carestia colpì il Regno di Napoli dominato dagli Spagnoli. Nella città partenopea, la più grande d’Europa, il sovraffollamento demografico e il fiscalismo spagnolo portarono la popolazione alla fame (nonché alla rivolta di Masaniello): i consumi di carne e di pane crollarono. Fu così che la popolazione si rivolse alla pasta, che i produttori resero più a buon mercato grazie a una rivoluzione tecnologica: l’invenzione della gramola, del torchio e della trafila. Già nel XVIII secolo i Napoletani si guadagnarono l’appellativo di “mangiamaccheroni” (epiteto già riservato ai Siciliani) e anche nel resto d’Italia la pasta divenne un simbolo nazionale, piatto povero e popolare per eccellenza. “Voi date la zuppa a un italiano? Ma gli Italiani non mangiano che maccheroni, maccheroni, maccheroni”, sentì dire Carlo Goldoni a Parigi, sul finire del ‘700.

La vera conquista

Proprio in quegli anni, a Napoli, venne inventata l’inseparabile compagna della pasta, la salsa di pomodoro. “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”, scriverà Cavour alla vigilia dell’annessione del Regno delle Due Sicilie. Ma saranno loro, in realtà, a conquistare il cuore di tutta Italia.